Home » Quali ingredienti rendono accattivante un prodotto dell’audiovisivo?
Ti sarà capitato qualche volta di guardare un prodotto dell’audiovisivo – film, serie tv, documentario – ed entusiasmarti così tanto da iniziare il giro di chiamate per consigliarlo a parenti e amici.
Hai mai pensato alle ragioni per cui alcuni prodotti ci fanno esclamare di gioia mentre altri ci lasciano l’amaro in bocca anche se in partenza avevano tutti i presupposti per essere apprezzati al meglio?
La risposta è una sola: capacità di adattamento.
Cosa vuol dire?
Di fronte ai cambiamenti sociali e culturali, variano anche i gusti del pubblico.
Adattare un prodotto dell’audiovisivo alle preferenze del target non significa piegarsi a fredde logiche commerciali.
Ma piuttosto significa sviluppare uno spirito d’osservazione più acuto che permette di cogliere meglio tutte le sfumature che ci circondano.
E quando tali sfumature riescono ad essere catturate da una macchina da presa, registrate e impresse su pellicola, è più facile che chi guarderà il prodotto si sentirà parte integrante di esso.
Riuscire a sviluppare la capacità di immedesimazione nel pubblico è come vincere un biglietto alla lotteria per chi scrive e produce storie per il piccolo e grande schermo.
Per compiere questo passo importante, c’è bisogno di tradurre la realtà che ci circonda in un racconto per immagini.
Non è sempre facile.
L’impresa richiede una stretta collaborazione tra l’occhio e la mano.
Ovvero capacità di cogliere il potenziale narrativo nella realtà che ci circonda e coniugarlo a una spiccata capacità di scrittura creativa.
Osservare e scrivere, entrambe le azioni richiedono un grande sforzo e una fonte inesauribile di energie.
Perché per avere un risultato soddisfacente non bisogna mai considerare buona la prima.
Uno sceneggiatore che è in grado di compiere questo tipo lavoro, ha più probabilità di successo.
Certo, bisogna sempre considerare diverse tipologie di variabili. E non sempre un ottimo prodotto diventa un successo assicurato al botteghino.
Non è una regola che se applicata seguendo un elaborato piano con fare chirurgico, garantisce il trionfo.
Talvolta per far sì che le cose funzionino e abbiano una buona riuscita, c’è bisogno di associare alla regola una buona parte di variabile sentimentale, sfrenata e senza vincoli.
Libera, pura e magari sgraziata. Ma vera!
Cosa serve allora per aggiungere un pizzico di magia in più alla pellicola?
Il primo accorgimento da tenere presente quando si decide di scrivere una sceneggiatura riguarda la semina prima del lancio ufficiale del prodotto.
Un seeding pre-lancio efficace crea un terreno fertile prima dell’uscita del prodotto in grado di condizionare il pubblico ad accettare il film con un animo già predisposto all’accoglienza.
Diverse sono le strategie di lancio, dalle più note pubblicazioni di teaser ad alto tasso di coinvolgimento, alle più mirate tattiche di semina che variano in base ai gusti del target.
Non dimentichiamoci che molto spesso le opere che hanno più successo, sono quelle parlano a una piccola fetta di pubblico e non alla massa.
Una volta individuato il tema di fondo, costruire una narrazione in linea con quel tema, rivolgendosi direttamente alla tipologia di target che si ha in testa, aumenta le probabilità che il prodotto, pensato per una specifica nicchia, esca dai suoi confini per essere apprezzato anche da altre fette di pubblico.
Un esempio è Breaking Bad, serie televisiva pensata per un pubblico adulto in prevalenza maschile che ha conosciuto una rinnovata notorietà soprattutto negli ultimi anni con la distribuzione su Netflix.
Dal 2008 al 2013 la decisione estrema di Walter White, professore di chimica che sta per morire di cancro ai polmoni, coinvolge un numero sempre più alto di interessati.
Al centro della narrazione c’è il tema della responsabilità morale, come scrive Paolo Braga, docente di Scrittura per la televisione e il cinema presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
E di come le conseguenze della condotta immorale vadano a creare ripercussioni negative sulla vita del protagonista e di chi gli sta intorno.
Walter White inizia a produrre e vendere metamfetamine con lo scopo di accumulare soldi e assicurare un sostegno economico alla sua famiglia quando lui sarà morto.
L’azione illegale si scontra con il proposito nobile.
Il contrasto tra i due piani crea i presupposti giusti per uno svolgimento attraente della storia.
All’attrito generato da questo stratagemma, in cui il pubblico è combattuto e si trova nel mezzo della scelta tra il bene e il male, è importante avere in mente una sola regola: essere scomodi.
I temi che scatenano prurito sono anche quelli più ricchi di sostanza.
Quindi niente paura. La parola d’ordine è osare!
Per rimanere fede alle aspettative ricreate durante la fase precedente all’uscita, il prodotto deve disporre di caratteristiche ben precise.
Tra queste c’è la cura dei dettagli tipica della sinergia artistica che si instaura tra le maestranze.
Quando il gruppo di lavoro va d’accordo, è quasi impossibile non assistere alla riuscita di un prodotto bello da vedere.
Un esempio è il recente vincitore del David di Donatello come miglior film, Le Otto Montagne, tratto dall’omonimo libro di Paolo Cognetti del 2016.
Il film ha portato sullo schermo il risultato di un matrimonio d’amore tra il Belgio e l’Italia, così afferma la produttrice belga Charlotte Vandermeersh.
E ha ragione. Nella pellicola si intravedono l’intensità e la passione, prerogative assolute di una magica relazione d’amore, rese ancora più pregnanti grazie al rapporto fraterno che lega nella realtà i due attori protagonisti.
Alessandro Borghi e Luca Marinelli sono due fuori classe del cinema italiano. E insieme sullo schermo fanno scintille.
C’è anche un altro motivo per cui Le Otto Montagne si gode il successo che ha avuto, e riguarda la potenza assoluta delle immagini in rapporto ai pochi dialoghi presenti nella pellicola.
Le montagne, i paesaggi e i visi dei due protagonisti parlano senza articolare parole.
E questa considerazione ci porta al prossimo accorgimento.
La cura nella scelta delle parole è fondamentale.
Proprio perché le parole devono essere poche, queste devono essere scelte con estrema precisione.
Ricercare e comporre il nucleo semantico adatto al prodotto copre gran parte della buona riuscita di un film.
Non dimenticare che le parole hanno un potenziale emotivo altissimo.
Sprigionano i sentimenti, che in base alle finalità possono essere balsamo sulle ferite o fuoco sulla pelle.
Il potenziale narrativo è capace di trainare da solo un’intera serie televisiva.
È il caso di The Crown, la serie giunta alla quinta stagione su Netflix che narra in chiave drammatizzata la storia della famiglia reale inglese.
La sua caratteristica principale è la ricchezza di dialoghi accurati che vanno dritti al punto, mai statici, ma anzi studiati in modo tale da risultare il vero motore della narrazione.
I dialoghi insieme allo studio accuratissimo sui personaggi hanno fatto la fortuna di questa serie televisiva.
Cosa significa creare personaggi orizzontali?
È preferibile che il loro carattere esca fuori e risalti dalle decisioni e dalle azioni che prendono, e non dalla quantità di parole che articolano.
Si parla di profondità, di capacità di fondersi al tessuto narrativo della pellicola in maniera per l’appunto orizzontale, andando a ricoprire tutti gli angoli della scena.
In questo modo si creerà una forte connessione tra tutti gli elementi in scena.
Nella serie inglese Peaky Blinders risalta il lavoro fatto sui personaggi dagli attori.
Un lavoro decisivo che determina le sorti del prodotto stesso.
I punti di forza dei personaggi sono le loro debolezze.
Mettere a nudo preoccupazioni e paure dei personaggi sortisce un forte effetto sul pubblico che si fidelizza al prodotto perché curioso di scoprire le prossime mosse dei protagonisti.
La storia della famiglia Shelby che si ritaglia un ruolo di spicco nel mondo della criminalità tra le strade di Birmingham fa quasi simpatia.
Si ha voglia di farne parte perché al lato buio e cupo fatto di scommesse illegali, mercato nero, contrabbando e omicidi, si associano le fragilità intime dell’animo umano.
Quelle fragilità che, se raccontate bene, portano il pubblico a comprendere e talvolta a giustificare le azioni criminali dei personaggi.
Se da una parte bisogna dare ai personaggi la possibilità di amalgamarsi al tessuto narrativo, la struttura narrativa invece è bene che si posizioni in verticale.
L’ipotesi migliore è che si mantenga da sola senza il supporto di escamotage visivi e colpi di scena talvolta forzati.
Se la struttura narrativa riesce a sostenere il peso delle azioni e dei personaggi, la storia sarà vincente e avvincente.
Poco è meglio. Questa regola vale anche, e forse soprattutto, per le pellicole cinematografiche.
Un esempio è Gomorra, la serie Sky tra le più apprezzate all’estero.
Il gioco di potere tra i clan camorristici nel napoletano affonda le sue radici in alcune dinamiche reali presenti sul territorio campano.
Già questo basta per mantenere una struttura narrativa in piedi senza aggiungere altro materiale.
Il racconto del reale drammatizzato è uno stile che incuriosisce e attrae pubblico.
Se si va oltre si rischia di essere prolissi ed eccedere con spezzoni narrativi superflui e poco attinenti.
La nuova generazione di sceneggiatori e autori sta già mettendo in campo questi accorgimenti.
Sono molte le produzioni nazionali e internazionali che si sono attrezzate per seguire questa direzione.
I prodotti che calibrano nel modo giusto azioni, emozioni e personaggi generano un senso profondo di soddisfazione nel pubblico, che si ripercuotono anche nella sua vita privata.
Quando ciò avviene, l’incidenza che film, serie tv, documentari hanno sui nostri pensieri è così intensa da stimolare ragionamenti e nuove idee.
Ecco da dove nascono i presupposti per un capolavoro dell’arte audiovisiva.