Home » Il ruolo dei media e le narrazioni che ci influenzano
Comprendere quale ruolo i media, con le loro narrazioni, hanno nella nostra vita è importante per saper scegliere cosa ascoltare, come ascoltare e a cosa dare fiducia.
Il discorso vale per i racconti di finzione e per le storie del giornalismo.
Tuttavia, se per lo storytelling di finzione abbiamo la consapevolezza che si tratta di racconti inventati, per il giornalismo il gioco si fa diverso.
Nel secondo caso siamo indotti a credere che ciò che ci viene detto corrisponda in tutto e per tutto a quanto è accaduto.
Le notizie che leggiamo sui giornali, o che vediamo rappresentate in tv o raccontate alla radio, siamo convinti spesso che siano fatti.
Siamo spinti a ritenere, insomma, che una notizia sia un qualcosa che è davvero accaduto.
La realtà del giornalismo è ben diversa. La “notizia” è il racconto di un fatto, di un evento, di una dichiarazione. Non è il “fatto in sé”, ma la sua narrazione.
Già questo ci consiglia di essere prudenti nel giudizio. È importante capire quale fonte ha raccontato il fatto che diventa notizia; com’è stato raccontato; in quale contesto si colloca.
Walter Lippman, giornalista americano, negli anni venti del Novecento, sosteneva una teoria che si è dimostrata fondata.
Lippman faceva notare, nel suo libro Opinione Pubblica, come le caratteristiche del mondo reale abbiano spesso uno scarso rapporto con le opinioni che le persone hanno di quello stesso mondo.
Il giornalista americano aggiungeva poi un altro dato di fatto: le interpretazioni date dalla stampa agli eventi possono radicalmente alterare l’interpretazione della realtà, data dalle persone, e i conseguenti modelli di azione di quelle persone.
Secondo Lippman, insomma, noi agiamo non sulla base di ciò che ha realmente avuto luogo. O che è effettivamente accaduto.
Ci comportiamo piuttosto sulla base di quella che pensiamo sia la situazione reale secondo le descrizioni forniteci dalla stampa.
Questo vuol dire che significati e interpretazioni spesso corrispondono soltanto in parte a quanto è successo.
Queste descrizioni – presentate dai mass media – possono condurre ad azioni inappropriate. Oppure possono produrre comportamenti che hanno scarsa relazione con la vera natura del mondo esterno.
I mezzi di informazione, peraltro, non si predispongono deliberatamente a creare illusioni o a ingannare qualcuno.
Al contrario i codici etici del giornalismo insistono sull’oggettività, sull’equilibrio, sulla completezza e la fattualità dell’informazione.
È significativo cosa recita la legge – articolo 2 sui diritti e doveri – che istituisce, nel febbraio del 1963, l’Ordine dei Giornalisti: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.
Il secondo comma dell’articolo 2 della legge numero 69 del 3 febbraio 1963, poi, aggiunge: “Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori”.
È a questo articolo della legge sui giornalisti che mi sono attenuto, sin dall’inizio, nella mia inchiesta sul caso di Milena Sutter e di Lorenzo Bozano. E che ha prodotto il libro Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media, che ho scritto con la criminologa Laura Baccaro.
L’obiettività, l’equilibrio e la completezza dell’informazione sono tuttavia obiettivi irraggiungibili, viste le condizioni in cui come giornalisti siamo costretti a lavorare dalla struttura dell’industria editoriale:
I resoconti dei fatti, che chiamiamo “notizie”, sono così sommari e si con- centrano solo sui fatti centrali, ignorando gli altri.
Non va meglio con la comunicazione attraverso i media personali, a cominciare dallo smartphone, e i social media, con piattaforme come Instagram, LinkedIn o Facebook.
Questi tipi di media ci forniscono notizie come audience, da un lato; e dall’altro ci consentono di essere produttori di notizie.
In questo modo, le fonti si moltiplicano. Si produce una pluralità di informazioni, il che è un bene.
Tuttavia nello stesso tempo diventa difficile – specie per chi non è un professionista della comunicazione – distinguere tra ciò che è vero, nella sua sostanza, e ciò che nel racconto non ha fondamento alcuno. Oppure è palesemente falso.
Siamo partiti da una constatazione che tutti possiamo rilevare. Ovvero che i media, in tutte le loro declinazioni, sono parte integrante della nostra vita.
A seconda delle situazioni, delle persone e dei mezzi utilizzati, possono influenzare il nostro vivere, possono condizionarlo oppure possono avere una funzione ridotta.
In ogni caso, l’influenza dei media – siano essi personali, sociali o di massa – è una realtà. Come, quando e con quale intensità si produca varia a seconda dei destinatari, degli emittenti e dei contesti.
Ciò che è importante, per noi come cittadini, come spettatori, come lettori critici è che ci affidiamo a media e a una comunicazione professionale, sostanziata dall’etica e tesa alla verità.
Maurizio Corte
corte.media
(Photo Roman Kraft – Unsplash)