Com’è nata l’inchiesta sul caso del Biondino della Spider Rossa

Macaia - Il Biondino della Spider Rossa - docu-serie thriller - SaperInVideo blog

Tutto ha inizio con una tesi all'Università di Verona. Una studentessa mi chiede di occuparsi di cronaca nera. È l'incidente scatenante della mia storia. La "chiamata dell'Eroe" che mi costringe ad agire. Da qui nasce il mio viaggio

Era una mattina di primavera del 2010. Fuori il cielo era annuvolato, ma la luce giungeva chiara, limpida, serena. L’aula 1.1, al Polo didattico Zanotto dell’Università di Verona, era bene illuminata. 

La mia voce doveva giungere morbida alla ventina di studentesse (e qualche raro studente) che seguivano la lezione di Giornalismo Interculturale e Multimedialità. Era un giovedì, perché da oltre vent’anni faccio lezione in quel giorno e nella stagione della primavera.

Nell’ala sinistra dei banchi, silenziosa solitaria e attenta come sempre, sedeva Laura Leonesio. Fu lei ad avvicinarmi, a fine lezione, quando le 13 erano passate da qualche minuto.

Avevo fretta di andare a casa, per cucinare e poi alle 16.30 correre al mio giornale, L’Arena di Verona. Ero però sempre disponibile a rispondere – come anche oggi – alle richieste di chi seguiva le lezioni.

La domanda di Laura non mi sorprese: voleva discutere la tesi magistrale – nel corso di Editoria e Giornalismo – e avermi come relatore. Quello che mi lasciò perplesso fu l’argomento su cui voleva scrivere la tesi: la cronaca nera.

Abbozzai un sorriso, come per scusarmi. E le dissi: “Mi spiace, ma io di cronaca nera non mi occupo. Se ti interessa il giornalismo, oltre al tema media e immigrazione, io al giornale mi occupo di Esteri”.

Lei ricambiò il sorriso. E insistette. Aveva una passione per la cronaca nera. Alle fine della triennale, Laura si era laureata con una tesi su tre delitti orrendi.

Uno, lo ricordo bene, era il pluriomicidio a Milano, nel novembre del 1946, commesso da Rina Fort. Quattro morti: la moglie dell’amante e i tre figlioletti. Il più piccolo lo ricordavo, dalle foto del tempo, riverso sul seggiolone.

Avevo bene in testa un magistrale articolo, scritto da Dino Buzzati sul Corriere della Sera. Quello di Rina Fort un caso di nera – come altri famosi – che un giornalista non poteva non aver letto, abbeverandosi ai pezzi classici dei più grandi cronisti di tutti i tempi.

Capii che Laura non avrebbe mollato. L’aula universitaria adesso era vuota e la sua voce non ammetteva repliche.

Mi arresi all’idea di occuparmi di una tesi di cronaca nera. Pazienza. Del resto, con gli Esteri – tra guerre, atti di terrorismo e violenza – non è che in pagina ospitassi storie di santi.

Tuttavia, nell’accettare la tesi, fui rapido e dettai le mie condizioni. Non volevo altre carneficine tra le pagine di una tesi. Non mi era mai piaciuta la cronaca nera fatta di morti e assassini. Mi interessavano le persone, le loro vite, le loro azioni.

“Va bene, Laura”, ribattei sicuro, mentre mi avviavo all’uscita e mi chiedevo che avrei cucinato a pranzo quel giorno. “Vada per la tesi di cronaca nera. Lasciami però pensare a un argomento da proporti. Ti faccio sapere”.

Le radici di Macaia

Macaia. Il Biondino della Spider Rossa – che ho scritto con Nicoletta Apolito e Gaia Corradino, come docu-serie – ha le sue radici in quel mattino di primavera.

Ora che ci penso, nella memoria l’immagine dell’ampio giardino dell’università, l’aula del Polo Zanotto e la stessa Laura mi si presentano sempre con dominanze di bianco e nero. Solo qualche striscia di colore appare qui e là, giusto per ricordarmi che siamo nel XXI secolo; e non negli Anni Settanta.

Arrivato al giornale, nel pomeriggio, salutai i colleghi. Mi sedetti alla mia scrivania, con a fianco l’ampia finestra che dava sul cortile interno. Eravamo a poche decine di metri da Piazza Bra, dove si trova l’anfiteatro Arena di Verona.

Presi il menù dell’Ansa di quel giorno – ovvero la lista dei servizi che l’agenzia avrebbe mandato dal tardo pomeriggio – e diedi una scorsa alla parte sugli Esteri.

Letto l’elenco degli articoli che ci avrebbero mandato, passai in rassegna la mazzetta di quotidiani che ci arrivava: una dozzina di testate, giusti per vedere cosa avevano fatto i grandi e piccoli giornali; e confrontarli con le nostre scelte.

Dopo un’occhiata ai siti web dei maggiori quotidiani, presi in mano i fogli per buttare giù una bozza di menabò (il progetto della pagina di Esteri).

Fu a quel punto che mi venne in mente “Il Biondino della Spider Rossa”. Lorenzo Bozano. Non era biondo, né magrolino. Eppure l’avevano soprannominato “biondino”.

Collegare l’etichetta bugiarda di “biondino”, la rappresentazione che stravolgeva la realtà dei fatti e il pregiudizio verso un disgraziato perché “diverso”, fu un tutt’uno.

Pensai che sì, la cronaca nera c’entrava con i miei studi su media e immigrazione – di cui mi occupavo dal 1998. Eccome, se c’entrava. Si trattava sempre di manipolazione dei fatti, di criminalizzazione dello “straniero”, di vittoria del potente sul più debole.

Il caso di Lorenzo Bozano, accusato del rapimento e omicidio di Milena Sutter, 13 anni, a Genova, nel maggio del 1971, lo avevo ben presente.

Perché Genova era nel mio passato, ai tempi del liceo e come giornalista di turismo nel 1991. E ora Genova – con la sua macaia, le passeggiate sul lungomare di Corso Italia e i carruggi  del centro storico poteva essere nel mio presente.

Tutto avrei immaginato, però, tranne che Genova ci sarebbe stata anche nel mio futuro.

Perché il caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano, lo avrei capito presto, non era un lavoro di mera archeologia giudiziaria. Era qualcosa di molto più scottante. E inquietante.

Maurizio Corte
corte.media

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